APPENDICE 1

Il Galvanismo e i suoi protagonisti

Pubblicato il 27 ottobre 2021

Luigi Galvani

Nato a Bologna il 9 settembre 1737, nonostante il suo desiderio fosse entrare nel mondo ecclesiastico, la sua famiglia lo indirizzò verso gli studi medici, che terminò all’età di 22 anni, nel 1759 conseguendo la Laurea in Medicina (e contemporaneamente anche in Filosofia naturale). Praticò la professione per tre anni e in seguito, seguendo quella che definì la sua “naturale inclinazione”, successivamente si dedicò alla chirurgia e all’insegnamento dell’anatomia mediante l’utilizzo di cadaveri; di cui, nel 1763, diviene Professore ordinario (ruolo che manterrà per i successivi 35 anni).[2] 

Le sue più celebri osservazioni relative all’interazione tra elettricità ed esseri viventi furono enunciate nel manoscritto dal titolo “De Viribus Electricitatis in Motu Musculari” inserita nel tomo VII dei “Commentarii” dell’Istituto e Accademia di Scienze e Arti di Bologna (pp. 363-418, tav. 4), pubblicato nel 1791.[1] 

Tali osservazioni, giunte al termine di anni di studio in ambito anatomico, vennero definite tanto dai posteri, quanto dai contemporanei, semplicemente “epocali”.[4]  

Tra il 1750 e il 1780, solo in Francia, anche a partire dai molti contributi di Galvani sul tema, è possibile riscontrare la pubblicazione di almeno ventisei articoli o revisioni di libri relativi al tema dell’utilizzo dell’elettricità applicata alla stimolazione degli arti di pazienti paralizzati sul Journal de Médicine. [5]  

La leggenda vuole che, nel 1786, durante la preparazione di una zuppa di rane per la moglie inferma, Galvani avesse osservato che tale piccolo arto era preso da convulsioni, nonostante l’assenza di alcuna fonte di elettricità esterna. Il coltello metallico di cui stava facendo uso per la preparazione era, secondo la sua interpretazione, in grado di “fornire una strada” all’elettricità (o meglio, secondo l’interpretazione originaria, ad un fluido elettrico) consentendole di fruire dai nervi ai muscoli. Tale osservazione sarebbe stata interpretata dal nostro come la prova dell’esistenza di una elettricità all’interno del corpo della rana, in seguito definita “elettricità animale”. [5] Secondo quanto riportato dai suoi stessi scritti, tali osservazioni furono la semplice conseguenza delle sperimentazioni a cui quotidianamente si dedicava [2] (Ma a noi piace credere alla serendipità della zuppa!)  

L’esperimento venne successivamente ripetuto e l’esperienza confermata utilizzando archi metallici, fornendo supporto all’ipotesi della stretta correlazione tra l’elettricità e la presenza di vita. [3]

Successivamente, grande attenzione mise nello studio delle torpedini (per ottenere le quali arrivò a trasferirsi da Bologna sul mare – a Sinigaglia e Rimini –, nonostante le sventure familiari e la cagionevole salute, e non prima di aver fatto testamento!), pesci noti per la capacità di erogare elettricità dal proprio corpo, utilizzandola come arma per cacciare e difendersi. In questi suoi studi trovò conferma delle sue intuizioni, convincendosi dell’esistenza di un “organo” capace di produrre tale fluido elettrico, identificabile nel tessuto muscolare animale.[6] Dei suoi studi lasciò anche testimonianza nel 1979 sul periodico “Elettricità animale” diretto da Lazzaro Spallanzani, eminente zoologo.[1]

Il contributo del suo lavoro sul progresso della conoscenza dell’elettricità in ambito fisico e fisiologico è riconosciuto universalmente. Nel bicentenario della sua nascita, nel 1938, così scriveva Giuseppe Boffito su La Bibliofilia[1], la più antica e autorevole pubblicazione scientifica bibliografica italiana sui temi della stampa, pubblicazione, bibliografia e commercio dei libri d’Italia:

Senza gli studi del Galvani sull’elettricità che egli disse animale, avrebbe il Volta indirizzata la sua attenzione e concentrati i suoi studi sull’elettricità di contatto, arrivando da ultimo alla sua famosa pila? E allora sarebbero mai sorti un Hertz e un Marconi? – Giuseppe Boffito [1]


Non per niente, fu lo stesso Volta a definire “stupenda” la scoperta del “sig. Galvani”: “una di quelle grandi e luminose scoperte che meritano di far epoca negli Annali delle scienze fisiche e mediche, non tanto per ciò che ha in sé stessa di nuovo, quanto perché apre un largo campo di ricerche non meno interessanti che curiosi e di utilissime applicazioni”.[1]

Probabilmente l’unica persona al mondo in grado di dibattere sul tema con Galvani, ingegnoso inventore lui stesso di strumenti utili ai suoi esperimenti, Volta era alla testa di uno dei migliori laboratori di Fisica del mondo, quello dell’Università di Pavia. I suoi esperimenti risultarono in quella che lui suppose essere una fonte perpetua di elettricità: la pila. [2] L’inizio di una “nuova scienza”. Di una nuova Era.

Nonostante ciò, tra il nostro e il Volta molti furono i contrasti di opinione sui dettagli e i meccanismi alla base di quanto da entrambi osservato [1], fino alla pubblicazione un critica opposizione (direct opposition) [5] nella quale si contestava l’origine intrinseca dell’elettricità rilevata, attribuendola alla stessa eterogenea composizione metallica dell’arco utilizzato.

Ciò diede vita a quella che venne poi definita la Controversia Galvani-Volta.[5]

Galvani accettò le critiche di Volta e, per dimostrare la correttezza delle sue interpretazioni, e rimuovere le possibili azioni attribuibili ai metalli di cui era costituito l’arco che utilizzava nei suoi esperimenti, tentò di riprodurre i suoi risultati senza l’utilizzo di tale strumento, unico scenario in grado di smentire lo scetticismo del Volta verso l’elettricità animale. L’ “esperimento senza metalli” risale al 1794, ed è contenuto nel volume “Trattato e Supplemento”. Utilizzando un arco costituito soltanto di tessuti animali (nervi e muscoli), Galvani fu in grado di avvalorare la sua ipotesi osservando che la contrazione avveniva ugualmente, dando ulteriore forza alla sua interpretazione originaria che i tessuti animali avessero la proprietà intrinseca di generare corrente elettrica. Concludeva, a commento, il Galvani: “Secondo la mia opinione, questo esperimento risulta cruciale”. [5]

Nonostante questa ed altre prove sperimentali, Volta rimase sempre della sua opinione.[5]

Anche in conseguenza a queste dissertazioni, il 20 marzo 1800, Volta arrivò a scrivere la sua celebre “lettera all’editore”, indirizzata a Sir Joseph Banks, Presidente della Royal Society di Londra, in cui era descritta la “pila di Volta”: Volta riportava di aver osservato che il semplice contatto tra differenti tipi di metallo, bagnati da un liquido conduttore (acqua salata o acido), determinava l’insorgenza di una corrente elettrica. [5]

Invenzione che non fu né l’ultima, né -ai nostri occhi di abituali utilizzatori di powerbank- la più astrusa!

In ricordo degli studi condotti da Galvani sulle torpedini e i loro “organi naturali dell’elettricità”, Volta volle dare il nome di Organo Elettrico Artificiale (artificial electric organ) alla sua invenzione.[5]

Volta, utilizzando questa sua invenzione, osservò inoltre che la Pila (the electromotive apparatus) era in grado di generare corrente elettrica in grado non solo di eccitare più o meno violentemente i tessuti muscolari, ma che era in grado di interagire anche con gli organi di senso (gusto, vista, udito, tatto) producendo per ognuno sensazioni peculiari. [7]

Sebbene la brillante scoperta di Volta rese possibili grandi avanzamenti nel mondo della fisica, fornendo una fonte stabile e continua di corrente, paradossalmente, determinò nel mondo della fisiologia una caduta d’interesse nei confronti dei meccanismi all’origine di quella -fino ad allora definita- “elettricità animale”, che ancora molti anni dovette aspettare per essere ulteriormente indagata e, in fine, spiegata e che “Volta, così illogicamente, affermò non esistere” (which Volta so illogically asserted did non exist) [5]

Già nel giugno del 1979 la città di Bologna venne compresa nella Repubblica Cisalpina di recente costituzione da parte dell’esercito francese. Era nelle intenzioni di Napoleone Bonaparte la creazione di un Istituto Nazionale delle Scienze. Come luogo per la sua nascita, come località favorita, assunse un ruolo la città di Milano, capitale della nuova repubblica. Bologna, forte della sua Accademia delle Scienze, primo per lustro tra i suoi molti istituti di ricerca (the flaghship of its fleet of learning), avrebbe così assunto poco più che un ruolo di città di provincia. Giovanni Aldini, nipote e in seguito continuatore degli studi di Galvani, rappresentò la città all’interno del consiglio della nascente nazione. A differenza del nipote, Galvani rifiutò il giuramento di fedeltà al nuovo regime e, come conseguenza, si vide privare delle cariche e del salario. La già provata salute lo vide spirare prima che, anche grazie agli sforzi profusi dall’Aldini, potesse vedere i suoi emolumenti e il suo titolo di civil cervants ripristinati.[2]

La posizione di rappresentante della città di Bologna dava infatti ad Aldini accesso a Napoleone Bonaparte, che nel tempo gli concesse tre incontri, anche in cambio di alcune dimostrazioni relative alle capacità dell’energia elettrica e agli esperimenti sull’elettricità animale. Anche grazie alle sue intercessioni, Napoleone acconsentirà alla creazione dell’Istituto Nazionale della Repubblica Cisalpina nella città di Bologna. Ciò avvenne anche in conseguenza della fama e dei successi ottenuti dalle istituzioni cittadine nel campo del galvanismo, dimostrando in questo modo il vero potere delle scoperte di Galvani.[2]

Giovanni Aldini

Nipote del più celebre Luigi Galvani, nel tempo portò avanti le ricerche dello zio.

 

Nel tempo sperimentò quanto scoperto in precedenza esponendo all’elettricità vari preparati e in particolare si concentrò sulla stimolazione di cervelli di mucca, bue, pecore, cani e cavalli. Con l’elettricità era così in grado di determinare la dilatazione delle narici, far muovere la lingua e gli occhi dei preparati anatomici. Aldini si spinse addirittura a sperimentare quanto descritto anche su preparati umani, servendosi di teste e corpi di condannati alla pena capitale. Gli esperimenti venivano eseguiti a breve distanza dall’esecuzione della pena, causando in essi smorfie e l’apertura degli occhi. [5]


Mary Shelley

Sono stati scritti molti libri su Mary Shelley, sui suoi talentuosi genitori e sul suo traumatico periodo giovanile. Sono altrettanto note le circostanze in cui il romanzo Frankenstein venne redatto (Mary, col marito Percy, ospiti di Lord Byron a Ginevra, coinvolti nella lettura di storie di fantasmi tedesche di recente pubblicazione, si sfidano a comporre a loro volta una storia dell’orrore. Da questa sfida, e da una discussione che vide Percy Shelley e Lord Byron disquisire della “natura del principio della vita” (the nature of the principle of life) e sulla possibilità di dare vita ad una creatura inanimata, nasce Frankenstein o il Moderno Prometeo).

Nella prefazione della prima edizione di Frankenstein o il Moderno Prometeo, Percy Bysshe Shelley scrive quale introduzione al volume: “I fatti su cui si fondano le vicende narrate in questa storia sono sati supposti dal Dottor [Erasmus] Darwin, e da alcuni fisiologi tedeschi, come non di impossibili a verificarsi”. [5]

Il Dr. Darwin qui citato è il nonno del più celebre Charles Darwin, celebre biologo, naturalista, antropologo e geologo, non che autore de L’origine delle specie (On the Origin of Species by Means of Natural Selection, or the Preservation of Favoured Races in the Struggle for Life) e de L’origine dell’uomo e la selezione sessuale (The Descent of Man, and Selection in Relation to Sex).

Ma anche il nonno del più famoso Charles non fu “da meno” come uomo di scienza: filosofo, poeta, medico e naturalista, nonché anche nonno di un altro famoso scienziato… Francis Galton

Che famiglia! 

Bibliografia

[1]     G. Boffito, “Bilancio bibliografico del bicentenario di Luigi Galvani: Gli scritti scientifici e il « taccuino » di L. Galvani pubblicati dal Comitato bolognese, le commemorazioni, gli studi critici, ecc.,” vol. 40, no. 3/4, pp. 133–146, 1938, Accessed: Sep. 28, 2021. [Online]. Available: https://about.jstor.org/terms.

[2]     J. L. Heilbron, “The contributions of Bologna to Galvanism,” Hist. Stud. Phys. Biol. Sci., vol. 22, no. 1, pp. 57–85, Jan. 1991, doi: 10.2307/27757673.

[3]     H. B. Steinbach, “Animal electricity. A phenomenon that did much to awaken our early investigations of electricity is still of great insterest to biologists,” Sci. Am., Jan. 1950, doi: 10.3109/01674820109049955.

[4]     “A Translation of Luigi Galvani’s De viribus electricitatis in motu musculari commentarius. Commentary on the Effect of Electricity on Muscular Motion,” J. Am. Med. Assoc., vol. 153, no. 10, p. 989, Nov. 1953, doi: 10.1001/jama.1953.02940270095033.

[5]     A. Mauro, “The role of the Voltaic pile in the Galvani-Volta controversy concerning animal vs. metallic electricity,” J. Hist. Med. Allied Sci., vol. 24, no. 2, pp. 140–150, 1969, doi: 10.1093/jhmas/XXIV.2.140.

[6]     Scientific American, “GALVANI,” Sci. Am., vol. 47, no. 14, p. 215, 1882.

[7]     Joost, “Shocks and Sparks: The Voltaic Pile as a Demonstration Device,” Isis, vol. 89, no. 2, pp. 300–311, Jun. 1998, doi: 10.1086/384002.


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