L’opera umana più bella è di essere utile al prossimo –Sofocle

If you want to be happy, practice compassion.

—Dalai Lama


Si avvicinano le feste natalizie e si moltiplicano i momenti di condivisione e convivialità.

Ma, In che modo le relazioni con le persone condizionano la qualità della nostra vita? 

Si definisce “pro-sociale” un atteggiamento caratterizzato dalla disponibilità alla collaborazione, dalla gentilezza verso gli altri e dalla capacità di compassione. Esso è anche uno dei pilastri fondanti della società: altruismo, cooperazione e fiducia sono tutti ingredienti indispensabili al buon funzionamento della società!

L’atto pro-sociale per antonomasia è l’attività di Volontariato. 

Essa può configurarsi sotto molteplici forme quali la donazione di tempo, denaro od oggetti utili (ma anche la donazione del sangue e degli organi sono vere e proprie forme di dono!). 

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Ma, fare del bene, quindi… fa anche stare bene?

È per rispondere a questa domanda che alcuni ricercatori dell’Università di Cambridge [1], in collaborazione con altri studiosi, hanno indagato la letteratura scientifica alla ricerca di una risposta, formulando quella che si definisce una metanalisi (ovvero uno studio che riassume tutta la conoscenza disponibile tra la comunità scientifica, relativamente ad un certo tema).

I meccanismi specifici attraverso i quali “fare del bene” determini ricadute positive anche su chi il bene lo fa non sono stati ancora del tutto identificati, e come per ogni altro argomento complesso e ricco di variabili, non sempre c’è stata concordanza tra gli studi condotti su questo argomenti (similmente a quanto detto qui).

Tuttavia, molti degli studi analizzati hanno dimostrato che agire in modo pro-sociale è sicuramente associabile all’insorgenza di alcuni benefici per la persona: uno su tutti quello di tipo psicologico.

In una parola: aiutare il prossimo aiuta a stare bene.

Avere una visione positiva del futuro, essere felici e sentirsi bene con sé stessi, pieni di energie e connessi con gli altri sono solo alcuni degli aspetti della vita che si possono tradurre nel più generico concetto di “star bene”. 

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Secondo Elizabeth Midlarskyv[2], Professoressa di Psicologia ed Educazione della Columbia University, l’agire in modo pro-sociale favorirebbe il benessere di chi si impegna in tali attività poiché:

  1. favorirebbe l’autostima e la percezione di competenze;
  2. favorirebbe la distrazione dai propri problemi indirizzando l’attenzione su quelli del prossimo;
  3. favorirebbe l’identificazione di uno scopo nella vita e di valori da perseguire;
  4. favorirebbe la positività;
  5. faciliterebbe l’integrazione sociale.

Secondo quanto riportato da un altro studio del 2007[3], un atteggiamento pro-sociale sarebbe inoltre associabile anche a una migliore salute fisica: le emozioni positive che derivano dall’aiutare il prossimo, oltre a motivare le persone a contribuire ulteriormente e più frequentemente con il proprio tempo e con le loro energie in questo genere di attività, rafforzerebbero il Sistema Cardio-Vascolare e determinerebbero un’attivazione positiva del Sistema Immunitario. 

Altri studi hanno anche indicato in una prolungata attività di volontariato un fattore correlato a una minor incidenza di depressione e una aumentata longevità[4].

Azioni pro-sociali come il volontariato favorirebbero quindi lo sviluppo di benessere basato sull’ottenimento di una felicità eudaimonica, dovuta quindi al processo di crescita continua e di sviluppo delle autentiche potenzialità dell’individuo, all’apertura verso le possibilità di crescita nonostante l’impegno e lo sforzo che queste necessitino. Il perseguimento della felicità personale durante questo processo può anche essere accantonato da parte del singolo che quindi, non nel perseguire la propria felicità soggettiva derivata dal raggiungimento dei propri obiettivi, bensì dallo sviluppo di processi di integrazione sociale e di crescita collettiva fa derivare il proprio benessere.[5]

È infatti altresì noto l’impatto che isolamento sociale e solitudine posso avere sulla salute del cuore.

Ciò che è emerso dalle ricerche in questo ambito è che i pensieri, i sentimenti e i comportamenti associati all’isolamento possono determinare l’insorgenza di comportamenti a rischio che hanno la tendenza a emergere col tempo.

Cos’è la solitudine?

La maturità inizia a manifestarsi quando sentiamo che è più grande la nostra preoccupazione per gli altri che non per noi stessi
–Albert Einstein

La ‘Solitudine’ (Loneliness) viene definita come “la percezione di una discrepanza tra le relazioni sociali reali e le relazioni sociali desiderate” [6] e sembrerebbe essere un fattore associato all’aumento di stress e di fattori di rischio cardio-vascolare. [7]

Ad essa è stata associata una ridotta aderenza a stili di vita utili a promuovere la salute e una maggiore frequenza di comportamenti a rischio

Uno stile di vita sano è uno dei principali fattori per vivere una vita in salute (ne abbiamo parlato anche qui)

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La presenza di una struttura sociale è stato dimostrato essere un fattore in grado di predire un minor rischio di sviluppo di aterosclerosi, che è uno dei principali fattori di rischio per la malattia cardio-vascolare (Cardiovascular disease, CVD).  

Sembra inoltre che ricevere il sostegno da parte di qualcuno, all’interno della propria rete sociale, giochi un ruolo vitale nell’incoraggiare e sostenere nel tempo tali stili di vita salutari. [8]

Ad esempio, nel caso di pazienti sottoposti a operazioni volte a ripristinare la normale condizione delle arterie coronariche (bypass coronarico), soggette com’è noto nel tempo a ostruzione dovuta anche all’accumulo di colesterolo in placche [9], sottoponendo preventivamente i pazienti a dei questionari e analizzando le risposte date alla domanda “quanto sei d’accordo con la frase: ‘mi sento solo/a’”, si è potuto infatti constatare che in base alla concordanza con tale frase era possibile stimare la sopravvivenza di questi pazienti a 30 giorni e a 5 anni dall’operazione! [10]

Anche nei giovani-adulti, l’abitudine a perseguire stili di vita salutari sembra essere influenzata, nel bene e nel male, proprio dai rapporti sociali. 

Istruzione, formazione, occupazione, trasferimento in aree geografiche differenti da quelle di nascita, l’intessere relazioni d’amicizia e di famiglia sono tutti fattori che hanno un impatto sulla salute e che fanno di questo gruppo sociale -i giovani-adulti- un’interessante “coorte” da studiare per meglio comprendere le dinamiche e le correlazioni di questi eventi lungo tutta la vita. 

Tutto ciò è probabilmente riconducibile a una serie di complessi meccanismi biochimici [11] che vedono nella solitudine l’attivatore di fattori stressogeni che incidono negativamente sul delicato equilibrio che ci permette di vivere quella che può ben dirsi “una vita che vale la pena di essere vissuta”.

Uno studio [12] condotto dalla Harvard Medical School e dal Massachusetts General Hospital, e da poco entrato nel suo ottantaduesimo (!) “anno d’eta” (sì, avete capito bene: lo studio va avanti fin dal 1939!), è stato in grado di dimostrare che, più che il denaro o la fama, sono i legami con la propria comunità a predire la soddisfazione nella propria vita manifestata durante la terza età. 

E non solo! Tutte quelle persone che tra i quaranta e i cinquanta anni si dichiaravano soddisfatte delle proprie relazioni sociali, arrivate a ottanta e più anni risultano essere anche in uno stato di salute migliore dal punto di vista cognitivo e cardiovascolare! 


Riassumendo: fare del bene sembrerebbe far davvero bene anche a chi il bene lo fa! 

Quindi… cosa aspetti?

Fai una scelta di vita, diventa Volontario!


#StayHealty



Journal of Personality and Social Psychology è una rivista scientifica pubblicata dall'American Psychological Association, fondata nel 1965. Copre i campi della psicologia sociale e della personalità.

Bibliografia:

[1]     B. P. H. Hui, J. C. K. Ng, E. Berzaghi, L. A. Cunningham-Amos, and A. Kogan, “Rewards of kindness? A meta-analysis of the link between prosociality and well-being.,” Psychol. Bull., vol. 146, no. 12, pp. 1084–1116, Dec. 2020, doi: 10.1037/bul0000298.

[2]     E. Midlarsky, “Helping as coping,” Prosocial Behav., no. October, pp. 238–264, 1991.

[3]     D. D. Danner, W. V. Friesen, and A. N. Carter, “Helping Behavior and Longevity: An Emotion Model,” in Altruism and Health: Perspectives from Empirical Research, Oxford University Press, 2007, pp. 246–258.

[4]     M.-C. Luoh and A. R. Herzog, “Individual Consequences of Volunteer and Paid Work in Old Age: Health and Mortality,” J. Health Soc. Behav., vol. 43, no. 4, p. 490, Dec. 2002, doi: 10.2307/3090239.

[5]     A. Delle Fave and M. Bassi, Psicologia e Salute. Esperienze e risorse dei protagonisti della cura. Milano: Utet Università, 2013.

[6]     L. A. Peplau and D. Perlman, Loneliness: A sourcebook of current theory, research, and therapy. New York, NY, 1982.

[7]     L. C. Hawkley, M. H. Burleson, G. G. Berntson, and J. T. Cacioppo, “Loneliness in Everyday Life: Cardiovascular Activity, Psychosocial Context, and Health Behaviors,” J. Pers. Soc. Psychol., vol. 85, no. 1, pp. 105–120, 2003, doi: 10.1037/0022-3514.85.1.105.

[8]     N. Sharby, “Health and Behavior, the Interplay of Biological, Behavioral and Societal Influences.,” J. Phys. Ther. Educ., vol. 19, no. 2, p. 71, 2005, doi: 10.1097/00001416-200507000-00016.

[9]     J. Jin, “Testing for ‘Silent’ Coronary Heart Disease,” JAMA, vol. 312, no. 8, p. 858, Aug. 2014, doi: 10.1001/jama.2014.9191.

[10]   J. Herlitz et al., “The Feeling of Loneliness Prior to Coronary Artery Bypass Grafting Might be a Predictor of Short-and Long-term Postoperative Mortality,” 1998.

[11]   N. Xia and H. Li, “Loneliness, Social Isolation, and Cardiovascular Health,” Antioxidants and Redox Signaling, vol. 28, no. 9. pp. 837–851, Mar. 20, 2018, doi: 10.1089/ars.2017.7312.

[12]   Harvard Medical School, “Harvard Second Generation Study,” Website, 2015. https://www.adultdevelopmentstudy.org/ (accessed Dec. 02, 2021).

 

Pubblicato il 15 dicembre 2021